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Mostra Category: Vittorio Emanuele

Contenuto Vetrine Mostra

Mobile vetrina grande

  1. bomboniera prodotta da Musy di Torino per il matrimonio di Umberto II con Maria Josè (30 gennaio 1930), versione smaltata;
  2. bomboniera prodotta da Musy di Torino per il matrimonio di Umberto II con Maria Josè (30 gennaio 1930);
  3. medaglie e cartoline commemorative del matrimonio di Umberto II con Maria Josè (30 gennaio 1930);
  4. bomboniera del matrimonio di Jolanda di Savoia (primogenita di Vittorio Emanuele III) con il conte Giorgio Calvi di Bergolo, ufficiale di Cavalleria  (9 aprile 1923);
  5. gioielli e oggetti di pregiata oreficeria regalati dalla Regina Elena;
  6. orologi e oggetti di pregiata oreficeria regalati dal Re Vittorio Emanuele III;
  7. servizio di manicure portatile della famiglia Savoia;
  8. oggetti regalati da Emanuele Filiberto di Savoia;
  9. carnet di ballo del Quirinale;
  10. piuma dell’elmo da Generale del Re Umberto I persa nel giorno dell’inaugurazione di un monumento a Carlo Alberto, raccolta e conservata da un partecipante all’evento;
  11. elmo da Corazziere modello 1901;
  12. corazza, elmo e spada da corazziere bambino;
  13. fotografia di Umberto II bambino che indossa una corazza completa da corazziere forgiata dall’armaiolo dei Corazzieri;
  14. berretto da Maggiore dei Corazzieri;
  15. elmo da Corazziere con telino mimetico periodo prima guerra mondiale;
  16. elmetto mod. 1933 del Comandante dei Corazzieri;
  17. elmo da Corazziere con telino mimetico periodo seconda guerra mondiale;
  18. bustina di servizio da Corazziere;
  19. cifre da gualdrappa dei Corazzieri;
  20. stivali e speroni da Corazziere;
  21. elmo da Corazziere modello 1910 con pennacchio da truppa (veniva indossato solo con la corazza);
  22. corazza ed elmo modello 1910 da Ufficiale dei Corazzieri;
  23. spalline da Tenente dei Corazzieri;
  24. spada da Corazziere.

Vetrina bassa

  1. fotografie del Dr. Giovanni Quirico (medico personale di Casa Savoia) in uniforme 1916 e suo biglietto da visita e del Dr. Luigi Quirico (medico della Casa Reale) in uniforme da Palazzo;
  2. lettera del Prefetto di Palazzo per l’invio del diploma onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro al Dr. Giovanni Quirico;
  3. fotografie di Vittorio Emanuele III da bambino;
  4. foto con dedica al Dr. Giovanni Quirico del Principe Umberto nel 1919;
  5. aghi usati per vaccinare Vittorio Emanuele III, la Regina Elena, la Principessa Mafalda e la Principessa Jolanda, conservati e sigillati;
  6. busta spedita dalla Principessa Giovanna al Dr. Giovanni Quirico contenente la foto dei suoi figli, il Principe ereditario di Bulgaria Simeone e Maria Luisa;
  7. busta viaggiata e indirizzata al Dr. Luigi Quirico dalla Principessa Mafalda contenente una cartolina scritta e 3 fotografie personali della stessa;
  8. fotografie personali della Principessa Mafalda al Dr. Luigi Quirico tra le quali una mentre cucina durante una gita;
  9. foto personale delle quattro Principesse Savoia durante una gita a Pompei;
  10. foto personale scattata a Pompei delle Principesse Mafalda e Jolanda.

Regina Elena di Savoia

Elena di Savoia, nata Jelena Petrović-Njegoš, nacque a Cettigne, all’epoca capitale del Principato di Montenegro l’8 gennaio 1873. Figlia del futuro Re del Montenegro Nicola I (Nikola Mirkov Petrović-Njegoš), fu educata ai valori e all’unione della famiglia. Studiò a Pietroburgo, frequentò la casa reale russa e collaborò con una rivista letteraria russa pubblicando poesie. Era una donna molto alta (180 cm). L’incontro con Vittorio Emanuele di Savoia venne combinato dalle rispettive famiglie per dare all’Italia una maggiore apertura verso il mondo slavo e per cercare di arginare gli effetti delle nozze fra consanguinei che affliggevano gran parte della nobiltà europea dell’epoca, favorendo il diffondersi di difetti genetici e di malattie come l’emofilia. Vittorio Emanuele III, figlio di cugini primi, non avrebbe potuto generare un erede sano con una sposa troppo vicina a lui per albero genealogico. Grazie al matrimonio con Elena, invece, ebbe come erede Umberto II, niente affatto simile al padre per quanto riguardava statura e salute.
Dopo il secondo incontro in Russia, Vittorio Emanuele formulò la richiesta ufficiale al padre di Elena, Nicola I. Il matrimonio fu celebrato il 24 ottobre 1986: la cerimonia civile si tenne al Quirinale, quella religiosa nella Basilica romana Santa Maria degli Angeli. A seguito della sconfitta di Adua, non furono nozze sfarzose, non c’erano reali stranieri tra gli invitati. In viaggio di nozze gli sposi si recarono con il panfilo Jela (Elena in lingua montenegrina) sull’isola di Montrcristo dove vissero il loro amore semplicemente, evitando gli appuntamenti mondani. Elena assecondò il marito in tutto. La sua presenza accanto al sovrano si mantenne sempre umile e discreta, non fu mai coinvolta in questioni strettamente politiche, ma dedita e attenta ai bisogni del suo popolo adottivo. Predisposta particolarmente per lo studio delle lingue straniere, fece da traduttrice al marito.
Dal matrimonio con Vittorio Emanuele III ebbe quattro figlie, Iolanda (1901-86), Mafalda (1902-44), Giovanna (1907-2000) e Francesca (1914-2001), e un figlio, Umberto (1904-83), che fu l’ultimo re d’Italia. Al termine della guerra, che per l’Italia venne fissata convenzionalmente il 25 aprile 1945, Elena andò in esilio con il Re il 9 maggio del 1946, subito dopo che Vittorio Emanuele III ebbe abdicato a favore del figlio Umberto assumendo il titolo di Conte di Pollenzo.
La coppia reale si ritirò a Villa Jela, ad Alessandria d’Egitto, ospite di re Farouk I d’Egitto, che ricambiò così l’ospitalità data a suo tempo dal regno italiano a suo nonno. Durante l’esilio i due coniugi festeggiarono il cinquantesimo anniversario di matrimonio. Elena rimase col marito in Egitto fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta il 28 dicembre 1947.
Tre anni dopo si scoprì malata di cancro e si trasferì in Francia, a Montpellier e nel novembre 1952 si sottopose a un difficile intervento chirurgico nella clinica di Saint Cóm, dove morì il 28 novembre.

Jolanda Margherita di Savoia

Nata a Roma il 1° giugno 1901 fu la primogenita del Re d’Italia Vittorio Emanuele III e della Regina Elena di Montenegro dopo cinque anni di matrimonio. La Principessa sposò, secondo i suoi desideri, il 9 aprile1923, nella Cappella Paolina, il Conte Giorgio Carlo Calvi di Bergolo, Ufficiale di Cavalleria.
Dal matrimonio ebbe 4 figli.
Jolanda seguì i genitori con il marito ed i figli nell’esilio del 1946 ad Alessandria d’Egitto e vi rimase fino alla morte del padre Vittorio Emanuele III, poi con la sua famiglia si trasferì nuovamente a Roma in una villa edificata nella tenuta di Capacotta, a quel tempo ancora proprietà degli eredi Savoia e oggi parte della tenuta di Castelporziano. Morì in una clinica a Roma il 16 ottobre 1986 e fu sepolta nel cimitero monumentale di Torino.

Mafalda di Savoia

Nata a Roma il 19 novembre 1902 fu la secondogenita del Re d’Italia Vittorio Emanuele III e della Regina Elena di Montenegro. Soprannominata “Muti” era di indole docile e obbediente. Trascorse la sua infanzia nell’ambiente familiare accanto alla madre e alle sorelle ; le vacanze si svolgevano a Sant’Anna di Valdieri, a Racconigi e a San Rossore con la partecipazione di tutta la famiglia. Durante la prima guerra mondiale, con le sorelle, seguì la madre nelle sue frequenti visite ai soldati e agli ospedali, venendo così coinvolta nelle attività materne di conforto e cura alle truppe.
Si sposò a Racconigi il 23 settembre 1925 con il principe tedesco Filippo Langravio d’Assia-Kassel che nel giugno 1933 su proposta di Hitler assunse l’incarico di governatore della Provincia d’Assia-Nassau, un grado nelle SS e vari incarichi. Nel settembre del 1943 alla firma dell’armistizio con gli alleati, i tedeschi organizzarono il disarmo delle truppe italiane. Badoglio e il Re trasferirono la capitale al Sud, ma Mafalda, partita per Sofia per assistere la sorella Giovanna, il cui marito Boris III era in fin di vita, non fu messa al corrente dei pericoli, forse per paura che informasse il langravio suo marito, che era agli ordini del Führer. Seppe quindi dell’armistizio mentre era in Romania.
Tornata a Roma appena in tempo per rivedere i figli custoditi in Vaticano, con un tranello venne arrestata dai tedeschi e deportata nel Lager di Buchenwald, dove venne rinchiusa nella baracca nr. 15 sotto falso nome (Frau von Weber).
Non ebbe alcun trattamento di riguardo e patì le stesse sofferenze degli altri prigionieri, malnutrizione e il freddo. Ferita gravemente per un bombardamento alleato del lager nell’agosto 1944, gli venne amputato un braccio e privata di ulteriori cure e abbandonata a se stessa, venne fatta morire dissanguata. Il suo corpo non venne cremato ma sepolto e venne successivamente identificato.
La Principessa Mafalda riposa oggi nel piccolo cimitero degli Assia, nel castello di Kronberg im Taunus vicino a Francoforte sul Meno.

Umberto di Savoia

Nacque nel castello di Racconigi alle 23.15 del 14 settembre 1904 e alla nascita pesava 4,550 Kg. Per comodità fu dichiarato il giorno 15 settembre come data di nascita ufficiale. Il 29 settembre venne concesso all’erede al trono il titolo nobiliare di Principe di Piemonte e venne battezzato nella cappella Paolina del Quirinale il 4 novembre in presenza di esponenti di tutte le case reali europee.

Giovanna di Savoia

Nata a Roma il 13 novembre 1907 fu la terza femmina e la quartogenita del Re d’Italia Vittorio Emanuele III e della Regina Elena, figlia del Re Nicola I del Montenegro. La giovane Principessa crebbe con le sorelle Iolanda, Mafalda, Maria Francesca ed il fratello Umberto, trascorrendo molto tempo a Villa Savoia insieme alla madre, dalla quale ricevette una educazione classica.
Nel settembre 1923, a 16 anni, si ammalò di tifo contemporaneamente alla sorella Mafalda, sicchè i familiari temettero per la loro vita.
Nel 1927 incontrò per la prima volta lo Zar Boris III di Bulgaria che era asceso al trono bulgaro dopo l’abdicazione del padre nel 1918. I due giovani si innamorarono e si fidanzarono ufficialmente programmando le nozze che vennero celebrate con rito cattolico il 25 ottobre 1930 nella basilica francescana di Assisi. Essendo lo Zar di religione ortodossa, venne celebrata una seconda cerimonia a Sofia ove poi si tenne l’incoronazione ufficiale della nuova Zarina. Oltre che per il carattere aperto e socievole, Giovanna venne subito apprezzata in Bulgaria anche per le sue origine slave ed ebbe due figli.
Nel 1940 il Re Boris III riuscì a strappare alla Romania la regione della Dobrugia e nel 1941, durante un viaggio in Germania, accettò di allearsi a Hitler nel secondo conflitto mondiale con l’Italia ed il Giappone, ma temendo una sollevazione popolare, rifiutò di dichiarare guerra alla Russia, inimicandosi lo stesso Hitler. La crescente repressione attuata dai tedeschi contro gli ebrei della Bulgaria, spinse lo Zar e la Zarina ad aiutare molti di costoro al fine di salvarli dalla persecuzione nazista facendoli fuggire in luoghi sicuri. Questo atto sfrontato fece sì che Hitler richiedesse urgentemente un incontro con Boris III nel 1943, al termine del quale lo Zar fece ritorno in Patria per poi morire dopo appena tre giorni, probabilmente a causa di un avvelenamento.
Dopo la morte dello Zar Boris III venne proclamato Re il piccolo Simeone II (nato a Sofia il 16 giugno 1937) ma venne subito dopo deposto dall’avanzata dell’Armata rossa e dai comunisti. Nel 1946 venne abolita in Bulgaria, con un referendum pilotato dai sovietici, la monarchia pertanto Giovanna con i suoi due figli fu costretta all’esilio. Raggiunse dapprima l’Egitto presso i genitori, poi, dopo un netto rifiuto da parte dell’Italia che non trovava opportuno ospitare la famiglia reale bulgara, essendo la Regina una Savoia, nel 1950 il dittatore Francisco Franco offrì loro asilo politico in Spagna; infine, sposatisi i figli, Giovanna raggiunse il Portogallo presso il fratello Umberto a Cascais.
Ritornò per la prima volta in Bulgaria nel 1993, caduto il comunismo, venendo accolta con grande entusiasmo, per il cinquantenario della morte di suo marito Boris. Morì a Estoril il 26 febbraio 2000 ma venne sepolta in Italia.

Margherita Francesca di Savoia

Nata a Roma il 26 dicembre 1914 fu l’ultimogenita del Re d’Italia Vittorio Emanuele III e della Regina Elena di Montenegro. Nacque al Quirinale pochi mesi prima dell’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale.
Sposò il 23 gennaio 1939, nella Cappella Paolina del Quirinale in Roma, Luigi Carlo di Borbone (Schwarzau am Steinfelde, Austria, 5 dicembre 1899 – Mandelieu, Francia, 4 dicembre 1967), figlio di Roberto I di Borbone, duca di Parma e di Maria Antonia di Braganza, infanta del Portogallo. Luigi era il fratello minore di Zita d’Asburgo, ultima imperatrice d’Austria e regina d’Ungheria.
Molto spesso Maria accompagnava i reali nelle cerimonie e nelle manifestazioni; la propaganda dell’epoca la ritraeva dedita alla carità e all’amor patrio e vari disegni la raffigurano al seguito del padre sui campi di battaglia, intenta a dare conforto alle giovani leve.
Fu sempre molto amata, tanto che a Roma esiste ancor oggi una scuola a lei intitolata.
Nel 1943 fu internata in un campo di concentramento in Germania, con due dei suoi quattro figli e il marito. Nel 1945 gli anglo-americani li liberarono ed essi fecero ritorno in Italia. Dopo il referendum che portò alla fine della monarchia si trasferirono a Mandelieu. Nel 1967 rimase vedova e da allora scomparve quasi completamente dalla vita pubblica, fatta eccezione per il funerale del fratello Umberto, nel 1983. Nel 1991 fu colpita da un’altra terribile perdita, quella del primogenito Guy.
Più volte i nipoti cercarono di convincerla a scrivere la sua biografia, ma ella respinse sempre la proposta: non volle mai parlare della terribile sofferenza vissuta durante gli anni trascorsi nel campo di concentramento nazista.
Morì a Mandelieu il 26 dicembre 2001.

Umberto II di Savoia

Nacque nel castello di Racconigi alle 23.15 del 14 settembre 1904 e alla nascita pesava 4,550 Kg. Per comodità fu dichiarato il giorno 15 settembre come data di nascita ufficiale. Il 29 settembre venne concesso all’erede al trono il titolo nobiliare di Principe di Piemonte e venne battezzato nella cappella Paolina del Quirinale il 4 novembre in presenza di esponenti di tutte le case reali europee. La nascita di Umberto sollevò i genitori dal timore che la dinastia si estinguesse, lasciando il trono al ramo collaterale dei Savoia –Aosta: se Umberto I aveva avuto un unico figlio maschio (Vittorio Emanuele III), suo fratello Amedeo ne aveva avuti quattro, il primogenito dei quali, fino ad allora l’erede presuntivo al trono, Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, era già padre di due figli ed era diviso dal cugino sovrano da una non velata rivalità.

Il Quirinale impiegò l’immagine del piccolo erede al trono, e le sue foto a tre anni vestito alla marinara, da piccolo corazziere, con l’uniforme storica della scuola militare Nunziatella e con l’uniforme da boy scout del Corpo nazionale dei giovani esploratori italiani, assieme alle sorelle nel parco della villa di san Rossore vennero fatte pubblicare sulla rivista L’Illustrazione Italiana o come cartoline. Secondo la prassi per ogni principe ereditario, Umberto compie una rapida carriera militare, frequentando la Scuola militare di Roma dal 1918 al 1921 e divenendo Generale dell’esercito. Dopo il 1925 si stabilisce nel Palazzo Reale a Torino dove fino al matrimonio conduce una vita spensierata.

L’8 gennaio 1930, nella Cappella Paolina del Quirinale, si sposa con Maria José, Principessa del Belgio. Umberto veste l’uniforme di Colonnello di Fanteria.

La coppia ebbe quattro figli: Maria Pia (nata il 24 settembre 1934); il Principe ereditario Vittorio Emanuele (nato il 12 febbraio 1937); Maria Gabriella (nata il 24 febbraio 1940) e Maria Beatrice (nata il 2 febbraio 1943).

Con l’entrata in guerra nel 1940 contro la Francia, al Principe venne dato il comando delle armate operanti al confine francese e a Mentone incontrò la moglie, divenuta Ispettrice nazionale del Corpo infermiere Volontarie della Croce Rossa italiana. Il 5 giugno del 1944, dopo la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III nominò il figlio luogotenente generale del Regno, in base agli accordi tra le varie forze politiche che formavano il Comitato di Liberazione Nazionale, e che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Il luogotenente si guadagnò ben presto la fiducia degli Alleati grazie alla scelta di mantenere la monarchia italiana su posizioni filoccidentali.

l 9 maggio 1946, ad appena un mese dallo svolgimento del referendum istituzionale che dovrà decidere tra monarchia e repubblica, Vittorio Emanuele III abdicò e si trasferì in Egitto con la regina Elena, assumendo il titolo di conte di Pollenzo.

Il 16 marzo 1946 il principe Umberto aveva decretato che la forma istituzionale dello Stato sarebbe stata decisa mediante referendum, contemporaneo alle elezioni per l’Assemblea costituente.

Nella giornata del 2 giugno e la mattina del 3 giugno 1946 ebbe dunque luogo il referendum per scegliere fra monarchia o repubblica. La maggioranza in favore della soluzione repubblicana fu di circa due milioni dei voti validi, anche se i monarchici non mancheranno di presentare ricorsi e di diffondere voci di presunti brogli. Umberto preferì prendere atto del fatto compiuto e decidere l’esilio, il 13 giugno, in Portogallo a Cascais.

In Portogallo era stato in esilio anche il suo trisavolo, il re Carlo Alberto, morto a Oporto nel 1849.

A partire dal 1964 Umberto II subì una serie interventi chirurgici piuttosto invasivi, probabilmente a causa del tumore che dopo lunghe sofferenze sarà la causa della sua morte, avvenuta a Ginevra alle 15:45 del 18 marzo 1983, in una clinica dove era stato trasferito pochi giorni prima da Londra, in un estremo quanto inutile tentativo di allungargli la vita.

Re Vittorio Emanuele III

La nascita

Vittorio Emanuele di Savoia nacque a Napoli la sera dell’11 novembre 1869, dove i genitori si trovavano in visita. Margherita aveva diciotto anni, Umberto venticinque.
Oltre che con i nomi di Vittorio Emanuele Ferdinando, in onore dei nonni, sua madre Margherita volle che venisse battezzato anche con i nomi di Maria e Gennaro in modo da distendere i rapporti con la Chiesa e conquistare l’affetto dei sudditi napoletani.
A otto anni, 1878, in seguito alla morte di Vittorio Emanuele II, diveniva Principe Ereditario e in una memorabile dimostrazione, sollevato sul balcone del Quirinale, riceveva dal popolo romano il primo saluto augurale.
A nove anni fu iscritto come torpediniere fra l’equipaggio della R. Nave Caracciolo. A dodici anni era fra gli allievi del Collegio Militare di Roma ed a quindici anni alla Scuola Militare di Modena.
Entrò a far parte dell’Esercito il 1° gennaio 1887 col grado di Sottotenente del 1° Reggimento Fanteria.
Percorse rapidamente tutti i gradi nel 1° e nel 5° Reggimento Fanteria. Nel 1890 fu promosso Colonnello e, dopo due anni, Generale Comandante la Brigata Como.
Aveva inoltre grandi passioni: era un’autorità nello studio della storia delle emissioni monetarie, tanto da pubblicare un’opera scientifica monumentale, in undici volumi: il “Corpus nummorum italicorum”.

Il matrionio e la famiglia

“Il suo matrimonio fu felice”
La questione del matrimonio del giovane Principe divenne oggetto di estrema preoccupazione per Umberto e Margherita: nessun Savoia era giunto alla soglia dei venticinque anni scapolo e lo stesso Vittorio non mostrava alcuna intenzione di sposarsi. Dopo vari tentativi venne combinato il matrimonio tra il ventisettenne principe di Napoli e una principessa montenegrina, Elena, la cui famiglia era molto legata, da vincoli politici e familiari, alla Corte di San Pietroburgo. Il primo incontro tra i due avvenne a Venezia nel 1895, durante l’inaugurazione dell’Esposizione Internazionale dell’arte. Il secondo incontro tra i due avvenne tredici mesi dopo a Mosca, durante i festeggiamenti per l’incoronazione dello zar Nicola II, e finalmente il giovane Vittorio si dimostrò veramente interessato alla giovane Elena, tanto che decise di parlarne ai suoi genitori. Il matrimonio, per nulla sfarzoso, fu celebrato al Quirinale con rito civile, seguito da quello religioso cattolico nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri il 24 ottobre 1896.
Dall’unione nasceranno cinque figli: Iolanda (1901), Mafalda (1902), Umberto (1904), Giovanna (1907) e Maria Francesca (1914).

Il Regno

Il 29 luglio 1900 la morte dell’amatissimo Padre suo (Umberto I) e della conseguente sua ascensione al trono, lo raggiunse durante una crociera nei mari dell’oriente.
Con la lui la monarchia italiana si modificò profondamente; per certi aspetti si europeizzò, avvicinandosi ai parametri delle grandi democrazie del Nord Europa. Nel 1904, lasciò il Quirinale per recarsi ad abitare nella amata villa Savoia, con la sua famiglia. La sua era una vita spartana: alle 09.00 arrivava in ufficio, alle 13.00 colazione a casa; alle 16.00 di nuovo al Quirinale fino alle 19.30; seguiva il pranzo serale e alle 21.00, poi si coricava a letto. Per tutta la vita si comportò così.

La Prima Guerra Mondiale

Dopo l’impresa libica (19011-12), nella prima guerra mondiale il Re sostenne la posizione inizialmente neutrale dell’Italia. Fu molto meno favorevole rispetto al padre per ciò che riguarda la Triplice Alleanza e fu ostile all’Austria; promosse inoltre la causa dell’irredentismo del Trentino e della Venezia Giulia.
Le ostilità sul fronte italiano iniziarono il 24 maggio 1915. Durante le operazioni affidò la Luogotenenza del Regno allo zio Tommaso Duca di Genova. Invece di stabilirsi nella sede del Quartier Generale di Udine, il Re alloggiò nel vicino paese di Torreano di Martignacco, presso Villa Linussa (da allora chiamata Villa Italia). Dopo la battaglia di Caporetto, l’8 novembre 1917, al Convegno di Peschiera, convinse gli scettici Primi Ministri Alleati – specialmente Lloyd George di Gran Bretagna – che la volontà dell’Italia era quella di resistere, e che lo Stato Maggiore Italiano era determinato a fermare l’avanzata nemica sul Piave: gettò di fatto le basi per la vittoria di Vittorio Veneto del novembre successivo.

Il Ventennio Fascista

Il rapporto con Mussolini fu sempre improntato alla assoluta formalità dettata dalle regole dello Statuto.
Infatti Vittorio Emanuele III, nei momenti più significativi del suo regno, ha sempre agito nel rispetto dello Statuto Albertino (allora in vigore) e della volontà del popolo, mai rinunciando, comunque, alle sue prerogative di re. Basti ricordare la dichiarazione di guerra all’Austria – Ungheria (24 maggio 1915), avvenuta solo a seguito di voto parlamentare; oppure quando il 31 ottobre 1922 egli conferì i poteri al nuovo Governo di Mussolini, non certo per suo volere, ma solo a seguito della fiducia concessa al neo governo dalla Camera dei deputati, presieduta dall’On. Enrico De Nicola. “Fu l’irresponsabilità delle forze politiche che non riuscirono a formare un governo che causò l’incarico a Mussolini” (Amendola). Altro momento “controverso” fu la divulgazione delle leggi razziali. Il Re era contrario a quelle norme discriminatorie e rifiutò di firmarle per ben 2 volte, nella speranza che i parlamentari ci ripensassero. Vittorio Emanuele III sapeva che esistevano due possibilità: non firmare, con la prevedibile conseguenza che le leggi sarebbero state promulgate ugualmente e che Mussolini lo avrebbe esautorato, oppure firmare, facendo comunque il possibile affinché non venissero applicate rigidamente. Il segnale fermo e chiaro dei parlamentari di cui il Re aveva bisogno per bloccare la legge non arrivò, pertanto la terza volta fu costretto a firmare, ma, contemporaneamente, fu il primo a non attenersi rifiutando di licenziare dal suo incarico il medico ebreo Artom di Sant’Agnese, ginecologo di Corte.

La Seconda Guerra Mondiale

Il 10 giugno 1940 quando il Re, pur di parere contrario, dopo aver percorso tutte le strade ufficiali e non per scongiurare tale evento, dichiarò guerra alla Francia ed all’Inghilterra, dichiarazione avvenuta comunque solo dopo il voto favorevole della Camera, sì dei fasci, ma pur sempre votata dal popolo. Il Re era conscio dell’impreparazione militare italiana e perché da sempre filo-britannico e avverso alle politiche della Germania nazista. Nei mesi precedenti, Vittorio Emanuele III, tramite il ministro della Real Casa Acquarone, aveva messo in atto un tentativo di rovesciare Mussolini; la legalità formale sarebbe stata salvaguardata ottenendo un voto di sfiducia dal Gran consiglio del fascismo e Ciano, che rifiutò, sarebbe stato chiamato a guidare il nuovo governo
Dopo qualche effimero successo in Egitto e nell’Africa orientale, i disastri che sopravvennero fra l’autunno 1940 e la primavera 1941 (fallito attacco alla Grecia, sconfitte navali di Taranto e Capo Matapan, perdita di gran parte dei territori italiani in Libia, perdita totale dei possedimenti in Africa orientale) rivelarono la debolezza delle forze italiane, che dovettero essere tratte d’impaccio dall’alleato tedesco sia nei Balcani (primavera 1941) che in Africa settentrionale.
La sconfitta nella seconda battaglia di El Alamein del 4 novembre 1942 portò nel giro di pochi mesi all’abbandono totale dell’Africa e poi all’invasione alleata della Sicilia (9 luglio 1943) e all’inizio di sistematici bombardamenti alleati sulle città italiane.
Queste nuove sconfitte spinsero il Gran consiglio del fascismo a votare contro il supporto alla politica di Mussolini (25 luglio 1943). Comunque già da giugno Vittorio Emanuele aveva intensificato i suoi contatti con esponenti dell’antifascismo, direttamente o mediante il ministro della Real Casa d’Acquarone. Il 22 luglio, all’indomani del vertice di Feltre tra Mussolini e Hitler e dopo il primo bombardamento di Roma, il sovrano aveva discusso con Mussolini della necessità di uscire dal conflitto lasciando soli i tedeschi e dell’evenienza di un avvicendamento alla presidenza del Consiglio.

8 Settembre 1943

Ormai arrivava alle orecchie “il rombo della battaglia a sud di Roma. I granatieri combattono con valore, ma tutto il resto dello schieramento fra la capitale, il mare e i colli Albani ha ceduto in poco tempo”. Roatta consigliò allora il ministro della guerra Sorice di far partire subito il Re. Racconta il Bartoli “il capo di Stato Maggiore dell’esercito conferma quanto ha già detto. Secondo lui, Roma può essere difesa solo per un tempo limitato, e il re e il governo, se credono di dover lasciare la capitale, devono farlo al più presto possibile per l’unica via libera, la Tiburtina, che porta verso l’Abruzzo. In questo caso sarebbe opportuno spostare le truppe che difendono la città nella zona di Tivoli in modo da non far coinvolgere inutilmente la capitale nei combattimenti. Badoglio approva l’esposizione di Roatta incaricandolo dell’esecuzione. Il re decide di partire”. Scriverà Badoglio che Vittorio Emanuele non sollevò obiezioni all’annuncio della partenza e aggiunse: “Resti ben stabilito che la responsabilità è esclusivamente mia”. Puntoni spiegherà che il Re aderì a malincuore ad abbandonare Roma.
La partenza del Re avvenne all’alba del giorno 9 settembre, mentre ai partenti arrivava l’eco della battaglia che la Divisione “Granatieri di Sardegna” ormai combatteva dalla sera avanti. Non è da escludere che, una volta prigioniero dei tedeschi con tutta la sua famiglia, il Re sarebbe stato, con molta probabilità, costretto, anche con la violenza, a sconfessare l’armistizio ed avallare un nuovo governo gradito ai tedeschi. Inoltre, con la cattura sarebbero rimaste annullate le sue prerogative, la sua rappresentanza, la sua funzione, quelle che gli erano state conferite ed affidate dalla Nazione per volontà della quale era Re. Andando pertanto a Brindisi, esso Re, sarebbe comunque rimasto sul territorio nazionale dal quale avrebbe potuto continuare ad esercitare legittimamente la propria alta funzione.
“Non bisogna dimenticare che il monarca pagò un prezzo personale molto alto per quell’accordo armistiziale. Sua figlia Mafalda, infatti, morirà, nel lager di Buchenwald, in Germania, il 28 agosto 1944”.

Il Regno del Sud

Due giorni dopo la sua partenza, l’11 settembre, il Re rivolse un proclama agli italiani con il quale comunicava che aveva autorizzato la richiesta dell’armistizio per il supremo bene della Patria, suo primo pensiero e scopo della sua vita e nell’intento di evitare gravi conseguenze, sofferenze e maggiori sacrifici, e che “per la salvezza della Capitale e per poter pienamente assolvere i doveri di Re, col Governo e colle Autorità militari” si era trasferito in altro punto del libero suolo nazionale.
Fu per le scelte di Vittorio Emanuele III e del Principe Umberto, quale luogotenente generale del Regno, fatte nei difficili frangenti fra la fine dell’ultimo governo di Mussolini (25 luglio 1943) e l’8 settembre, e cioè: la decisione di costituire un governo che liberasse dallo statuto delle sovrastrutture fasciste, per consentire agli anglo – americani di “mettere al sicuro” i vertici istituzionali da rappresaglie per conservare la continuità dello Stato Italiano; l’allaccio immediato di contatti istituzionali con gli alleati, che non occuparono mai le province sotto il controllo del Regno d’Italia, e ne riconobbero la sovranità sui territori mano a mano liberati, sino a riaccreditare a Roma le rispettive rappresentanze diplomatiche una volta liberata la capitale e la ricostituzione di Forze Armate nazionali, che si impedì allo Stato Italiano di subire l’annullamento della sua esistenza statuale.
A Brindisi venne fissata la sede del governo: assicuratosi il riconoscimento anglo-americano, Vittorio Emanuele dichiarò formalmente guerra al Terzo Reich il 13 ottobre e gli Alleati accordarono all’Italia lo status di «nazione cobelligerante».
Nel frattempo si procedette alla riorganizzazione dell’esercito: il Re dovette affrontare la fronda dei ricostituiti partiti politici, allora ancora dei comitati di notabili, in particolare di quelli riuniti nel CLN di Roma presieduto da Bonomi. Anche da parte di notabili rimasti leali alla Corona, tra cui Benedetto Croce in un acceso discorso al Congresso di Bari, furono sollevate richieste di abdicazione del sovrano.
Ma Vittorio Emanuele non cedette neppure dinanzi alle forti pressioni esercitate dagli angloamericani, intendendo così difendere il principio monarchico e dinastico che lui stesso rappresentava e, al contempo, tentando di riaffermare almeno formalmente l’indipendenza dello Stato dalle ingerenze esterne.

Abdicazione – Esilio – Morte – Rientro in Patria

Il 9 maggio 1946 Vittorio Emanuele III abdicò a favore del figlio Umberto II di Savoia, circa un mese prima del referendum istituzionale del 2 giugno.
Morì il 28 dicembre 1947 ad Alessandria d’Egitto dove, con il titolo di “Conte di Pollenzo. Si spense quindi il giorno dopo la firma della Costituzione italiana che, con la XIII disposizione finale, avrebbe visto lo Stato avocare a sé i beni in Italia degli ex re di Casa Savoia e delle loro consorti. La morte di Vittorio Emanuele III in una casetta della campagna egiziana fu dovuta – come accertarono i medici – a una congestione polmonare degenerata in trombosi. Spirò alle 14.20, dopo essersi sentito male un’ultima volta alle 4.30 del mattino. Le sue ultime parole furono: “Quanto durerà ancora? Avrei delle cose importanti da sbrigare”, frase che egli rivolse al medico accorso al suo capezzale dopo il sopraggiungere della paralisi. Il re d’Egitto Faruq dispose che il defunto avesse funerali di carattere militare (col feretro cioè disposto su un affusto di cannone e scortato da un’adeguata rappresentanza delle forze armate egiziane); la salma di Vittorio Emanuele III – salutata durante l’esequie da 101 colpi di cannone – fu tumulata nella cattedrale cattolica latina di Alessandria d’Egitto.
Il 17 dicembre 2017, quasi in concomitanza con il settantesimo anniversario della morte, la salma di Vittorio Emanuele III è stata ufficialmente rimpatriata a bordo di un aereo dell’Aeronautica Militare Italiana e tumulata nella cappella di San Bernardo del santuario di Vicoforte, a fianco della moglie Elena (morta il 28 novembre 1952 a Montpellier in Francia), i cui resti vi erano stati traslati due giorni prima.