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Mostra Category: In Principio era il Reggimento

Articoli del Generale Bonelli

STORIA DEL REGGIMENTO DI SARDEGNA

Don Bernardino il 10 Luglio del 1744 leva il Reggimento. La prima uniforme di un Soldato è data da una sottoveste ed i calzoni sono in panno bianco, il colletto e i paramani sono neri e le fintare sono gialle. Con queste uniformi il Reggi­mento di Sardegna partecipò alla guerra di Successione d’Austria impegnandosi contro i francesi e gli spagnoli ben si distinse nel 1745 nella campagna di Acqui e l’anno successivo in quella di Ventimiglia. Con la pace di Aquisgrana del 1748, che segnò la fine della guerra di Successione, il Reggi­mento fu ridotto a Battaglione.
Circa 40 anni dopo e precisamente nel 1793, una nuova uni­forme la sottoveste e i pantaloni sono bianchi. Il Reggimento cosi vestito combattè per la prima volta al fianco del Reggi­mento Guardie contro la Francia rivoluzionaria nella vitto­riosa battaglia dell’Anthìon, a tal proposito il Guerrini scrisse: “La comunanza della vigoria nel combattere e della gloria di vincere quella bella vit­toria, fu magnifico augurio alla sorte che doveva quei due corpi comporre, in una sola buona fa­miglia “.
Nel 1796 il Reggimento rientrò in Sardegna a presidio dell’isola, dove fu raggiunto nel 1798, dal re Carlo Emanuele IV esiliato a se­guito della disfatta Sabauda ope­rata dall’Armata napoleonica.
Al Reggimento furono assegnati gli stessi uffici che erano stati in Piemonte del Reggimento Guar­die ed i soldati furono scelti di alta statura come si conviene ad una “Guardia Reale”.
Vittorio Emanuele I succeduto a Carlo Emanuele IV, viene restaurato nel suo regno a seguito del Congresso di Vienna del 1814 che segna la fine dell’impero napoleo­nico.
Rientrato a Torino porta con se il Reggimento di Sardegna che per “i fedeli servigi ognora prestati”, come riportato nel Regio Viglietto dell’11 Aprile 1816, viene denominato “Reggimento di Cacciatori – Guardie”.
Nel successivo riordinamento, avvenuto ad opera di Carlo Alberto, il 28 Ot­tobre 1831 le Brigate furono organicamente costituite su 1 ° e 2° Reggimento. La sola Brigata Guardie fece eccezione in quanto fu costituita con il Reggimento Granatieri – Guardie e il Reggimento “Cacciatori Guardie” che per l’occasione fu rinominato solamente Cacciatori e riordinato su due Bat­taglioni ognuno su 6 Compagnie Cacciatori ed una Compa­gnia Carabinieri.
Il 20 aprile 1850, regnante Vittorio Emanuele II, il Reggi­mento Cacciatori cambia la denominazione in Cacciatori di Sardegna ed esce dalla Brigata Guardie ricostituita come Brigata Granatieri su due Reggimenti, l° e 2°. Infine, due anni dopo, e precisamente il 19 Marzo del 1852 le 10 compagnie del Reggimento Cacciatori di Sardegna vengono fuse con il 1° e il 2° Reggimento e la Brigata prende il nome di Brigata “Granatieri di Sardegna” a perenne ricordo di tale Reggimento.

LA BATTAGLIA DELL’ASSIETTA E Paolo Navarina di San Sebastiano

Paolo Navarina di San Sebastiano. era figlio del Conte Navarina di San Sebastiano e di Anna Teresa Canalis di Cumiano la quale, nata nel 1685 e rimasta vedova nel 1730 era stata nominata marchesa di Spigno e sposata morganaticamente da Vittorio Amedeo II, il duca di Savoia che dal 1718 era divenuto il primo re di Sardegna, sessantaquattrenne e da due anni vedovo di Anna Maria Orleans nipote di Luigi XIV, il Re Sole, dalla quale aveva avuto sei figli, cui si erano aggiunti i due figli naturali che aveva avuto da Giovanna d’Albret contessa di Caglia di Verruà.
Potrebbe essere stato già Vittorio Amedeo ad avviare il giovane Paolo nella carriera di Ufficiale dei Granatieri; certo è però che Paolo Navarina di San Sebastiano fin da principio s’era dimostrato un soldato di partico­lari meriti e grande valore (il 2 maggio 1746 aveva partecipato con estremo coraggio all’assalto notturno delle ridotte di Valenza, riportando un encomio), ed aveva svolto, fino ai fatti dell’Assietta, una brillante carriera.
In tale battaglia, comunque, se pur già tenente colonnello, il Navarina ebbe “impiego” di maggiore, come lo stesso Guerrini attesta, e così infatti sarebbe stato qualificato nel Regio Biglietto, che con altri quattro ufficiali di minor grado (Caldera, Passati, Balbis e Gattinara), l’avrebbe segnalato per essersi particolarmente distinto.
Nella famosa battaglia il batta­glione comandato dal Navarina di San Sebastiano era assestato sulla Testa dell’Assietta e contro questa mossero le due colonne comanda­te rispettivamente dai generali D’Arnault e D’Andelot. Il combat­timento si svolse subito con tanto impeto e valore da ambedue le parti, che “rien de plus brillaiit que la valeur des ennemis a cette attaque” e «les compagnies des granadiers de Gardes et de Gasai… faisaient des merveilles”, riferisce il Munitoli. Senonché una terza colonna francese condotta dal Villemur, arrivata a poca distanza dal Gran Sérin, minac­ciava di aprirsi da questa parte la strada, ed allora il generale Alciati disse al di San Sebastiano di accorrervi non appena fosse riu­scito a sganciarsi dal nemico; ma poiché questo non rallentò la furia degli assalti, il San Sebastiano non potette muoversi.
Intanto il Villemur, respinto due volte faticosamente dai difen­sori del Gran Sérin, si preparava a un terzo e più vigoroso assalto, ed allora il comandante in capo conte Cascherano di Bricherasio inviò al conte di San Sebastiano espresso ordine di sgomberare la Testa dell’Assietta e correre di rincalzo dei difensori del Gran Sérin.
Hanno rilevato gli storici che se pure l’obbedire a tale ordine avrebbe sollevato il di San Sebastiano da ogni responsabilità personale, egli preferì assumersi di propria iniziativa una responsa­bilità grandissima a non eseguirlo, persuaso com’era che sarebbe stato inutile chiudere al nemico la porta del Gran Sérin se gli si fosse lasciata aperta quella della Testa dell’Assietta. E’ però anche vero che a giustificare la sua disobbedienza all’ordine superiore abilmente mandò a dire al supre­mo comandante che egli stesso quell’ordine non l’avrebbe impar­tito se avesse potuto sapere e valutare le condizioni in cui in quel momento lì sulla Testa dell’Assietta ci si trovava. Va tut­tavia altresì notato che la sua disobbedienza all’ordine e la responsabilità conseguentemente assunta egli non tenne per sé, che anzi proclamò a gran voce, avanti ai suoi Granatieri, che “in faccia al nemico non possiamo volgere le spalle”, e i suoi Granatieri, racconta il Dabormida. risposero con grida di gioia.
Quattro ore dopo la Testa dell’Assieta fu assalita dai francesi con disperato impeto, e fu l’ora della vittoria di Paolo Navarina di San Sebastiano e dei Granatieri che egli comandava. Anche Bricherasio riuscì da parte sua a fermare per la terza volta l’assalto del Villemur e fu così completa e definitiva quella che gli storici avrebbero poi definita la “memo­randa vittoria delle anni piemon­tesi”.
Benché “il merito della vittoria venisse attribuito per intero dalla pubblica voce in Francia come in Piemonte” per il Navarina (così il Dabormida), l’eroico difensore della Testa dell’Assietta, oltre alla detta segnalazione sul Regio Viglietto, fu concessa, a ricompensa, solo una croce dell’ordine di San Maurizio e una pensione.

L’AVVENTO DI NAPOLEONE

“Annibale ha passato le Alpi, noi le abbiamo girate”

La campagna del 1794 si chiuse con la battaglia di Dego, quella del 1795 con la battaglia di Loano, quella del 1796 si aprì col passaggio del Colle di Cadibona.
Difatti, nella primavera del 1796 Napoleone venne nominato Comandante dell’Armata d’Italia e diede inizio alla sua prima campagna. Il Generale trovò ”la strada spianata” in quanto i francesi presidiavano tutta la Riviera Ligure di Ponente, con comando in capo in Savona, mentre sulle Alpi Marittime presidiavano Tenda, Ormea, Bardineto, il Melogno ed i relativi passi.
Fu quindi da Savona che Napoleone iniziò la sua campagna, usufruendo per il passaggio in Val Bormida del Passo di Cadibona, che, oltre ad essere il più basso fra la Val Padana ed il mare, segna il termine delle Alpi Marittime e l’inizio degli Appenini. Suo primo obiettivo fu il Massiccio del Montenotte, la prima massa montuosa Appenninica, il secondo fu Cosseria, il colle che domina il Passo di Mantecala fra la Bormida di Levante (Cairo) e di Ponente (Millesimo).
Nel periodo dell’offensiva Napoleonica, le truppe Piemontesi erano schierate sul crinale che separa la Valle del Tanaro dalle Vallate delle Bormide, dal passo dei Giovetti a Montezemolo,con l’Unità più importanti dislocate nel caposaldo di Ceva. Gli austriaci si trovavano invece dislocati da Montenotte a Dego, fino ad Acqui. Cosseria, quindi, si trovava a far da cerniera fra le truppe Piemontesi e quelle Austriache. Difatti al momento dell’attacco, il presidio del Castello era composto di forze Austriache e forze Piemontesi, che combatterono eroicamente senza ricevere rinforzi, né dagli uni né dagli altri.
La disfatta delle forze austriache che seguì a Dego non fu che il corollario della caduta di Cosseria e Montenotte.

LASCITO DI DON ALBERTO GENOVESE DUCA DI SAN PIETRO E CARLOFORTE

L’anno del Signore 1776 al primo del mese di Agosto, circa alle ore 6 di Francia, alla sera in Torino …” , così inizia il documento stipulato tra Don Alberto Genovese Deroma Duca di San Pietro e Carloforte, e Don Gavino Paliaccio Mar­chese della Planargia allora comandante del Reggimento di Sardegna.
Il documento è costituito da 9 articoli. Nel primo viene san­cita la creazione della Banda di Musica e della Massa di Pietà ed istituito un fondo di 100.000 lire vecchie di Pie­monte la cui rendita annuale fissata a 4.000 lire dovrà servire lire 3200 alla manutenzione della Banda e per lire 800 alla Massa di Pietà, Nel secondo articolo il Duca sì impegna a pagare entro un mese la somma di lire 8.000, 4,000 lire per le prime spese del vestiario, in­strumenti ed altro. 4.000 lire per la Massa di Pietà e per il mantenimento della Banda nel primo anno. Il fondo di 100. 000 lire verrà invece versato in tre rate an­nuali di 33. 333 lire 6 soldi e 8 denari. Complessivamente il Duca in tre anni sì impegnò a versare 120.000 lire vecchie di Piemonte. Il terzo e quarto articolo contengono dettagli amministrativi atti ad onorare gli impegni assunti dal Duca negli articoli precedenti. Con il quinto articolo Don Alberto dispone che annualmente sia celebrata dal cappellano del Reggimento una messa “in suffragio dell’anima del Signor Duca padre nel giorno dell’anniversario della morte, che avvenne il 15 Febbraio 1764, con intervento del Signor Co­lonnello, e cogli Ufficiali del Corpo, e col suono, e musica di detta Banda e con quelle pompe funebri Ecclesiastiche che stimerà il Signor Colonnello. Inoltre Don Alberto dispose che dopo la sua morte, – che sarebbe avvenuta il 18 febbraio 1812 ( di fatto sembrerebbe avvenuta il 12 gennaio 1812 a Cagliari come risulta dai “Quinque Librorum”) – tale cerimonia sarà effettuata in suo onore e non più per il padre. Nel sesto articolo Don Alberto si ri­serva “la ragione e la facoltà, non trasmissibile ai suoi suc­cessori, di potersi valere della Banda e di nominare in caso di vacanza di qualche posto in detta Banda un soggetto abile“. A mente del settimo articolo: “Tutti gli istrumenti per uso di detta Banda debbono esser marcati colle armi genti­lizie di famiglia di Signor Duca”. Con il successivo articolo il Comandante di Reggimento viene delegato alla costitu­zione, entro tre mesi, della Banda “in quella miglior forma che stimerà esso“. Inoltre viene stabilito che la Banda “debba durare sempre finche durerà detto Reggimento” e qualora il Reggimento fosse sciolto sua Maestà definirà
Nell’ultimo capitolo, il 9° i due contraenti si impegnano a rispettare “i sovraesposti capitoli“. Un anno dopo alla stipula di tale atto, e precisamente il 15 Ottobre del 1777, il Duca di San Pietro si obbliga a vestire a sue spese il Tamburino Maggiore del Reggimento Sarde­gna e di provvedere ogni 6 anni a simile carico di vestiario da parata. A tal fine, stimata una spesa annua di 800 lire si impegna a versare una volta estinto il debito contratto con l’atto precedente, un fondo di 20.000 lire vecchie di Pie­monte così che lo stesso possa fruttare, con un interesse annuo del 4%, la somma necessaria al mantenimento del Tamburino Maggiore, ovvero 800 lire annue.
Successivamente, con lo scioglimento del Reggimento Cac­ciatori di Sardegna e la successiva fusione dello stesso con il 1° e 2° Reggimento Granatieri, il fondo fu ceduto alla Bri­gata Granatieri di Sardegna.
Un documento dimostra lo stato patrimoniale del fondo, così come avvallato il 6 Giugno 1852 dall’ultimo comandante del Reggimento Cacciatori di Sardegna Tenente Colonnello Enrico Cereale.

DICIASSETTESIMO SECOLO

Alla metà del sec. XVII la Dinastia dei Savoia “aveva signoria” nel Paese da circa sette secoli e Carlo Emanuele II,  era il quattordicesimo nella serie dei duchi che si erano susseguiti dopo che nel 1416 l’antica Contea era stata innalzata a Ducato.
Secondogenito di Vittorio Amedeo I e di Cristina di Borbone, era nato a Torino il 20 giugno 1634 ed era succeduto al fratello Francesco Giacinto il 14 ottobre 1638. Venuto a trovarsi in un’epoca nella quale nell’intero contesto internazionale si andavano già avvertendo movimenti e manovre determinati proprio dalla politica dinastica di ampliamento che tutti i principali Stati europei andavano impostando, si imponeva ai re, ai principi, ai sovrani, specialmente ai più piccoli, se non volevano rassegnarsi al destino del vaso di coccio tra i vasi di ferro, quantomeno di costituire forti ed organizzate milizie.
La riforma organica dell’esercito si presentò quindi a Carlo Emanuele II come primo compito da assolvere. A quell’epoca vigeva il sistema dei reggimenti di proprietà dei comandanti, reggimenti che venivano assoldati al momento della loro decorrenza per la guerra.
Fu così che, a partire dal 1659, iniziò la riforma provvedendo a formare con i migliori capi e gregari, Reggimenti a carattere permanente di cui il primo fu il Reggimento delle Guardie (Régiment des Gardes), il 18 aprile 1659.

“II Duca di Sauoia Re di Cipro.

Vogliamo che sia datta la leuata alii Capitani nel nostro regimento di Guardia per li soldati che deuono fare, e ciò a proportione della paga, stabilitali. Onde ui diciamo di spedirli le nostre liuranze per detta leuata a ragione di liure trenta tre per cadun soldato et per fanti mille uenti noue solamente, li quali con li fanti cento settanta uno che trouano in essere nelle cinque Compagnie di Marolles e Blanc Rocher ch’entrano nel suddetto regimento di Guardia, fanno li mille ducento da noi stabiliti in dodeci Compagnie. Tanto essequite e Dio Nostro Signore ui conservi. Torino, dieciotto Aprile 1659. C. Emanuel“.

LA PARTECIPAZIONE DEI GRANATIERI ALLA GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA

“II 1° di novembre, l’anno del 1700, si spegneva in Carlo II di Spagna il ramo primogenito degli Asburgo…… ebbe origine la guerra che fu detta della successione di Spagna, e che, nel teatro d’operazioni d’Italia, doveva essere combattuta da Francesi e Spagnoli da una parte, contro gl’Imperiali dall’altra.
In mezzo sta Vittorio Amedeo II: però non bene libero di porsi coll’uno o coll’altro, giacché gli alleati gallo-ispani lo serrano come in una morsa tra il Delfinato e la Lombardia.
Il Duca si accorda perciò con Luigi XIV, obbligandosi a dare 8000 fanti e 2500 cavalli all’esercito alleato d’Italia, ed ottenendo in com­penso il comando supremo su di questo, la mano del novo re di Spagna per una figliola, e abbondante aiuto di moneta, finché la guerra duri, per sostenere le spese.” (Guerrini op. cit. cap. X).
In questa guerra il Reggimento delle Guardie e la compagnia di Granatieri che vi era incorporata dal 1696, facendo parte dell’Armata piemontese, combatte­rono a Chiari, a Castrezzato, a Luzzara, subirono la “cattura di San Benedetto”, resistettero negli assedi di Vercelli, della Verrua, di Chivasso, di Torino, e quivi concorsero a scrivere quella che è stata considerata “una delle più belle pagine della storia militare del Piemonte”, trovandosi tuttavia dapprima con l’una e di poi con l’altra delle parti contendenti.
Di queste truppe faceva parte anzitutto, nella brigata al comando del generale Della Rocca, il Reggimento delle Guardie, al quale il duca aveva comandato di aggiungere un terzo battaglione, formato, ogni battaglione, di sei compagnie fucilieri di novanta uomini ciascuna e di una compagnia di granatieri di cinquan­tatre uomini.

IN SICILIA 1713- 1719

Vittorio Amedeo II, a seguito dei trattati di Utrecht (1713) e di Radstadt (1714), ebbe la Sicilia col titolo di Re.
Nell’ottobre del 1713, egli andò ad occupare il nuovo reame con 6000 uomini e le Guardie parteciparono alla spedizione con il 1° battaglione che prese stanza in Palermo.
Nel 1718 gli Spagnoli assalirono l’isola e le truppe piemontesi, inferiori di numero si concentrarono in Siracusa. A Caltanisetta avvenne un combattimento, vittorioso per i Sabaudi, in cui le Guardie patirono perdite sensibili. Il 23 agosto 1719 le truppe piemontesi sgombrarono la Sicilia e Vittorio Amedeo ebbe in cambio la Sardegna. Le due più belle imprese di resistenza agli Spagnoli sono legate alla storia del reggimento Guardie. Il castello di Termini, sotto il comando del capitano Biscaretto delle Guardie, resistette fino all’estremo sostenendo combattimenti e fame. La cittadella di Messina, comandata dal Marchese di Andorno Colonnello delle Guardie, sostenne con vigore stupendo gli assalti degli Spagnoli. La difesa di Messina fu così splendida e pertinace che quando la guarnigione ridotta allo stremo dovette capitolare, gli Spagnoli le concessero tutti gli onori di guerra e la facoltà di ritirarsi colle armi a Reggio Calabria.
A ricordo di quel periodo resta oggi un segno: l’aquila che è impressa sulle placche d’ottone che i Granatieri italiani tuttora portano sugli spallacci delle loro giberne nei servizi di onore. Essa non è che l’aquila dello stemma di Palermo, che fu messa al centro dello stemma dello Stato.
Accordatisi in Londra: Impero, Inghilterra, Francia e Olanda intimarono alla Spagna di cedere i possessi italiani riconquistati. La Sicilia fu data all’Austria, la Sardegna a Vittorio Amedeo II.
Nacque così da quegli eventi il Regno di Sardegna.

I PRIMI COMBATTIMENTI DEI GRANATIERI

I primi impegni del Reggimento delle Guardie avvennero il 6 luglio 1663 contro i Valdesi ad Angrogna, quando questi ancora una volta, dopo le “Pasque Piemontesi” del 1655, furono costretti a scontrarsi con le truppe del Ducato di Savoia.
Successivamente, nel 1672, vi fu la inutile e sanguinosa guerra contro la Repubblica di Genova con numerosi scontri  tra cui meritano menzione: il primo combattimento delle Guardie, avvenuto il 18 luglio 1672 al Ponte di La Paperera, dove il reggimento perse ben 4 suoi Ufficiali, e la presa di Ovada il 17 ottobre dello stesso anno.
Fu comunque nell’ultima decade del 17° secolo che le Guardie parteciparono a grandi battaglie dando prova del valore acquisito e dell’alto senso dell’onore e di disciplina come espressioni del loro essere.
Infatti, allo scoppiare della guerra contro la Francia, della Lega di Augusta, di cui era anima Guglielmo II d’Orange contro  Luigi XIV, il Reggimento Guardie ed i Granatieri ebbero il battesimo del fuoco nella battaglia di Staffarda il 18 agosto 1690 ed in quella della Piana della Marsaglia o di Orbassano il 4 ottobre 1963 ove si udì per la prima volta il grido “ A me le Guardie” che diverrà il motto del Reggimento.

I GRANATIERI NEL XIX° SECOLO 

Nel 1816 il Reggimento Guardie prese il nome di “Brigata Guardie”. Nello stesso anno entrarono nelle file della Brigata le compagnie Granatieri dei reggimenti provinciali che erano stati disciolti. Il provvedimento di incorporazione non riuscì molto gradito ai Granatieri che venivano in tal modo a perdere le loro specifiche qualità. La controversia fu risolta dal sovrano che estese la prerogativa dei Granatieri anche ai Fucilieri delle Guardie: da allora le Guardie assunsero il nome di “Granatieri Guardie” che non abbandoneranno più. Sempre nel 1816 il Reggimento Sardegna Fanteria venne ribattezzato “Reggimento Cacciatori Guardie”.
Il Reggimento dei Granatieri, insieme con i cacciatori, affrontò, nel 1848, la prima campagna di guerra del Risorgimento, quando il 23 marzo il Piemonte dichiarò guerra all’Austria. Pastrengo, S. Lucia, Goito, furono le prime vittoriose tappe di questa campagna. I Reggi­menti dei Granatieri si batterono fieramente nelle tre giornate della battaglia di Custoza, dal 23 al 25 luglio, sulle alture di Sommacampagna, e più tardi a Milano. Nel 1849 i reggimenti Granatieri Guardie, che nel frattempo erano diventati tre per affrontare la nuova campagna, non presero parte essendo di riserva, alla battaglia di Novara, dove però si distinse il Reggimento Cacciatori.
Nel 1850, obbedendo alla necessità di abolire ogni prerogativa e privilegio, scompare dall’esercito piemontese il nome di “Guardie”; la Brigata Guardie venne trasformata in Brigata Granatieri, con il reggimento dei Cacciatori di Sardegna che tornò ad essere autonomo. Due anni dopo il vecchio Reggimento sardo venne soppresso e fuso con i Reggimenti della Brigata Granatieri che prese da allora il nome di “Brigata dei Granatieri di Sardegna”. Essa rimase depositaria, in questo modo, delle tradizioni delle Guardie, dei Granatieri Piemon­tesi e dell’antico Reggimento Sardo.
Un Battaglione di Granatieri prese parte nel 1855 alla campagna di Crimea. Nel 1859, secondo centenario della fondazione del corpo, la Brigata dei Granatieri di Sardegna si trovò sul piede di guerra, alla vigilia della seconda campagna del Risorgimento. Il 24 giugno, giornata di S. Martino e Solferino i Reggimenti dei Granatieri, uniti al III Battaglione Bersaglieri e alla Brigata Savoia, affrontarono una nota e gloriosa battaglia decisiva per le sorti di tutto il conflitto.
L’anno seguente, il 1860, l’esercito piemontese, ormai di fatto Esercito Italiano, intervenne nelle Marche, in Umbria e nel Napoletano. La Brigata Granatieri di Sardegna fu inquadrata nella I Divisione De Sonnaz, con un’altra Brigata di Granatieri nata allora: i “Granatieri di Lombar­dia”: 3° e 4° Reggimento. La Divisione De Sonnaz fu ben a ragione chiamata la “Divisione Granatieri”. Essa si distinse a Perugia, ad Ancona, al Garigliano ed a Mola di Gaeta.
Nel corso della terza guerra d’indipendenza (1866) alla battaglia di Custoza nel marasma generale rifulse l’eroico coraggio della Brigata Granatieri. Furono concesse ben tre medaglie d’oro individuali ed una infinità di medaglie d’argento.
Dopo aver partecipato con ufficiali al comando di truppe coloniali, tra cui il Capitano Antonio Rossini del 1° Granatieri che ad Adua meritò la medaglia d’oro al valor militare, alle prime guerre coloniali, i Granatieri dal 1902 furono di stanza a Roma. 

DUCA DI SAN PIETRO

Don Bernardino Antonio Geno­vese e Cervellon Duca di San Pietro e Carloforte il 10 Lu­glio del 1744 fu autorizzato da Carlo Emanuele III con regio viglietto a levare il reggimento di Sardegna Fanteria su 10 compagnie di cui 3 di SM ed una di Granatieri per un totale di 700 uomini. Ricevuta la colonnella e la bandiera del Bat­taglione, Bernardino ne divenne primo Comandante.
Il 10 aprile 1759 essendo ancora Comandante del Reggimento di Sardegna fu nominato Comandante Generale d’artiglieria nel Regno di Sardegna ed ammesso ad una paga annua di £. 3.000 di Piemonte. Cinque anni dopo, il 15 Febbraio 1764 morì all’età di 71 anni lasciando quale unico erede il figlio Alberto avuto da Donna Maria Agostino Deroma Torellas.

COSSERIA – Aprile 1796

La sera del 12 aprile, dopo la rotta di Montenotte, il Generale Colli ordinò al terzo battaglione di Granatieri Piemontesi di occupare l’altura di Cossèria. Comandava il battaglione il Colonnello di Stato Maggiore Marchese Filippo Del Carretto di Camerana, discendente dalla illustre famiglia che aveva ottenuto in feudo quelle valli, ufficiale di molto valore e talmente stimato ed amato dai suoi soldati che poteva disporre di essi come di cosa sua propria. Il battaglione era composto di sei piccole compagnie che davano complessivamente 548 uomini di truppa.
Il Marchese non indugiò a mettersi in marcia ed all’alba del 13 aprile si trovò sbarrata la strada dall’avanguardia della divisione Augerau; nello stesso tempo si accorse che i francesi avevano respinto in disordine verso la cima di Cossèria due fitte compagnie di Croati, 500 uomini, ed il Generale Provera con due suoi ufficiali.
Vedere e risolversi fu un attimo per l’animoso Del Carretto, si aprì la strada colle baionette e con ordine e calma raccolse i suoi uomini sull’altura, perdendo però l’aiutante maggiore Rubin e parecchi Granatieri,
In breve Croati e Granatieri si trovarono in un cerchio di ferro e di fuoco, stretti in una bicocca cadente, colla vecchia cisterna sfondata e vuota d’acqua, con poco pane, poche cartucce, niente cannoni e nemmeno un uffi ciale di sanità: 1048 uomini in tutto e 31 ufficiali contro 12 mila.
Mentre il Generale Provera, per nulla perdutosi d’animo, cercava raccapezzarsi nella nuova posizione, fu annunciato un parlamentare di Augerau: era il Generale Cervoni, un piemontese passato ai rivoluzionari, che ve niva ad intimare la resa.
Spettava al Generale Provera di rispondere come maggiore in grado, ed egli era perplesso sapendo gli alleati in ritirata, ma udito il forte proposito del Colon nello Del Carretto che si dichiarava risoluto a difendersi, gli cedette volentieri il comando.
Chiara e decisa fu la risposta del Colonnello a Cervoni: “Sappiate, signor Generale, che voi avete a che fare con dei Granatieri, e che il Granatiere piemontese non si arrende mai!“ Fece dare nel tamburo ed attese l’assalto.
Un primo assalto, che ebbe l’audacia di guidare lo stesso Cervoni, venne respinto col fuoco a venti passi: un secondo, diretto da Napoleone in persona, non riuscì più fortunato.
Arrivata ai francesi una batteria da campagna, un secondo parlamentare dichiarò ai difensori che se non si fossero arresi il Generale in capo non avrebbe fatto grazia ad alcuno: eguale risposta da parte del nostro Colonnello.
Allora tutta la divisione di Augerau monta all’assalto in colonne serrate. Nel castello già sono numerosi i caduti e scarseggiano le munizioni: “Rispondete coi sassi! E giù, alla baionetta ! “ grida il Colonnello Del Carretto. Egli stesso si drizza sopra un masso elevato, scaraventa pietre sugli assalitori, ne uccide due di sua mano: ma un colpo di moschetto lo passa da parte a parte, e cade.

Su le rovine del Castello avito,

giovine, bello, pallido, senz’ira,

ei maneggiava sopra i salienti

la baionetta”.

“Non è che ferito !” gridano gli ufficiali, “ alla baionetta, Savoia!” E tutti si scagliano con impeto irresistibile sui nemici già penetrati nel ridotto, e per una terza volta li ricacciano.
I francesi in quella giornata perdettero 2700 uomini: i Generali Bonel e Tuentin morti, ferito il Generale Joubert da un colpo di pietra.
Un sergente stava inginocchiato accanto al prode Del Carretto morente; “Sono stati respinti?” gli chiese il Colonnello. “ Sì Colonnello – rispose il sergente – anche questa volta abbiamo vinto.“ Sorrise l’eroe ed esalò l’anima invitta.

“Scesero al morto cavaliere intorno

da l’erme torri nel cerulo vespro

l’ombre degli avi”.

 

Articolo In Principio era il Reggimento di Guardia

360 anni e non sentirli: l’anniversario della fondazione del Corpo dei Granatieri ricorre nel 2019 e per l’occasione, l’Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna, in collaborazione con la Direzione del Museo Storico dei “Granatieri di Sardegna” e con il contributo di collezionisti privati, ha allestito una mostra, curata dal Gra. Generale Ernesto Bonelli, dal titolo “In principio era il Reggimento di Guardia”.

Documenti, cimeli, medaglieri, uniformi, armi e copricapi illustrano il percorso storico del Reggimento dalla fondazione al compimento dei 250 anni (1909) per illustrare la sua “primogenitura” rispetto alle Unità permanenti più antiche e durature dell’Esercito e delle Istituzioni Militari Italiane.
La Mostra è stata inaugurata dal Presidente nazionale ANGS, Gen. D. Giovanni Garassino, il 10 aprile scorso e resterà aperta sino al 30 giugno 2019, negli orari di apertura del Museo Storico dei Granatieri di Sardegna, in Piazza Santa Croce in Gerusalemme, 7 Roma (dal lunedì al venerdi : ore 09.00 -12.00).

Tra tutti i simboli dei Granatieri, spiccano gli alamari: era il 1747 quando 7.000 uomini del reggimento si batterono sui colli dell’Assietta contro i 31 battaglioni franco-spagnoli durante la Guerra di successione d’Austria. Oltre a resistere alle preponderanti forze nemiche, i Granatieri ignorarono l’ordine di ripiegamento del comando piemontese e addirittura riuscirono a conquistare il comando francese. Questo consentì ai piemontesi di contrattaccare e vincere i franco-spagnoli. Da allora, il re, ordinò che sulle giubbe dei Granatieri fossero applicati gli alamari bianchi delle truppe spagnole, come trofeo di quella vittoria. Ancor oggi, i Granatieri, unici nell’Esercito, portano al posto delle mostrine, gli alamari bianchi iberici.

 “C’è un bellissimo articolo del 1938 – spiega il Gen. Ernesto Bonelli – della MOVM Giani Stuparich, Ufficiale dei Granatieri irredentista, che parla degli alamari: «Essi rappresentano una continuità di disciplina, d’ordine, di chiarezza, che tutti coloro che li portano, solo per il fatto di portarli, si trovano im­pegnati a mantenerla e a traman­darla». Chiunque li indossa, infatti, acquisisce le caratteristiche dei granatieri: la ferrea disciplina e l’onore militare, i nostri due comandamenti”.

Era il 18 aprile 1659 quando il Duca di Savoia Carlo Emanuele II, nel quadro della riforma degli apparati dello Stato, “levò” il primo Reggimento d’ordinanza della sua Armata Sabauda: chiamandolo “nostro”, ponendolo primo nell’ordine di precedenza tra i suoi Reggimenti ed assicurando al personale, in esso inquadrato, vari privilegi; rafforzò così il concetto di aver voluto creare una “istituzione” permanente al suo diretto servizio e del suo Ducato.

Nel corso dei 360 anni sono mutate le forme istituzionali dello Stato: Ducato di Savoia, Regno di Sardegna, Regno d’Italia, Repubblica Italiana e le strutture ordinative dell’Unità: Reggimento Guardie, Brigata Guardie, Brigata Granatieri Guardie, Brigata Granatieri di Sardegna, ma nulla è cambiato nello spirito degli uomini che nel corso dei secoli hanno militato tra le fila dei Reparti Granatieri, i quali all’ombra della Bandiera simbolo dello Stato, sono sempre rimasti fedeli alle parole del Duca fondatore: “Tanto eseguite e che Dio nostro vi conservi”.

La sede della mostra è un monumento fisico a questo motto: il Museo dei Granatieri, infatti, venne costruito nei primi anni ’20, a tempo di record, esclusivamente da personale dei Granatieri: dall’architetto fino all’ultimo operaio. Il progetto del Museo era stato realizzato da un tenente granatiere, l’architetto Francesco Leoni, e alla sua costruzione parteciparono esclusivamente membri della specialità. Fra questi soldati, tradizionalmente alti e robusti, vi erano infatti uomini che nella vita civile erano scalpellini, carpentieri, muratori, ebanisti, vetrai, perfino mosaicisti. Dopo appena due anni di lavori, il Museo veniva inaugurato dai regnanti di Casa Savoia, il 3 giugno del 1924. Lo stile è elegante, eclettico, con spunti liberty.

L’interno conta quindici sale che contengono armi di varia provenienza, sia italiana che straniera, telefoni da campo,  elmetti e copricapi, decorazioni, quadri, busti, fotografie, trofei, planimetrie, bandiere, oggetti personali donati dai Granatieri stessi o dalle loro famiglie. Sulle pareti del Sacrario, sono incisi a lettere d’oro i nomi di 8.500 Granatieri caduti in tutte le guerre.

Nel museo sono conservate le prime bombe a mano, che furono dette “granate” perché all’interno erano piene di “grani” di polvere da sparo. Si trattava di sfere cave di ghisa, il cui guscio era spesso fatto a tasselli per agevolare la frammentazione delle schegge durante l’esplosione.  Nel 1685 il re Vittorio Amedeo II di Savoia volle potenziare la capacità di fuoco del suo reggimento delle Guardie scegliendo per ogni compagnia sei soldati, scelti fra i più alti e coraggiosi, che potessero precedere le truppe lanciando a mano piccoli ordigni. Visto il successo dell’innovazione, i Granatieri aumentarono sempre di più fino a costituire intere compagnie.

Andrea Cionci